MIRAFIORI, INQUADRARE IL TERRITORIO
Workshop fotografia sociale
14-15-16 aprile – Torino 2023
Il 14/15/16 Aprile a Torino si è tenuto il workshop di fotografia sociale “Mirafiori: inquadrare il territorio”, un laboratorio tenuto da Giulio Di Meo per conoscere e raccontare il quartiere Mirafiori di Torino. La scelta sul quartiere di Mirafiori è stata dettata dal fatto che è sicuramente quello più rappresentativo della realtà e della storia torinese anche solo per il fatto che il suo nome ci porta immediatamente alla Fabbrica Automobilistica FIAT. Ma quello che si è cercato di raccontare nel corso del Workshop è stata la “semplice quotidianità” di gesti, eventi, azioni abituali e comuni, insomma, momenti di vita “normale” che abitano ogni luogo, cercando di far emergere la determinazione e la volontà della gente di questo quartiere di reinventarsi e resistere alla crisi sul lavoro che ha colpito Torino in generale e Mirafiori in particolare.
Il mezzo fotografico è stato il modo espressivo per avvicinarsi alla città, alle Case del Quartiere e alla vita delle persone che vi abitano, ma anche strumento di incontro e scambio tra i partecipanti e i cittadini incontrati. Il workshop, inserito nell’ambito del progetto “Officina della cultura”(Bando React), attraverso laboratori ed eventi di teatro, musica, cinema e fotografia, ha attivato percorsi di crescita per bambini, giovani, adulti, anziani e persone fragili. La cultura e l’arte diventano strumento di aggregazione, inclusione e partecipazione attiva, favorendo lo scambio tra generazioni e supportando il superamento della crisi sociale causata dall’emergenza Covid 19. Un progetto cofinanziato dall’Unione europea – Fondo Sociale Europeo, nell’ambito del Programma Operativo Città Metropolitane 2014-2020 che ha visto coinvolte diverse realtà e associazioni: Coop. Soc. L’Arcobaleno, Onda Teatro, Educare Insieme, ASDC Sportidea Caleidos, Teatro e Scienza e Teatro Popolare Europeo.
Giulia Giordano
Quando penso a Mirafiori mi viene in mente Giancarlo Giannini, il “Mimì Metallurgico” che perso il lavoro a Catania, prende il treno per Torino e comincia a lavorare da operaio. Nell’immaginario collettivo, e anche nel mio, Mirafiori è sempre stato sinonimo di Fiat, la storica industria automobilistica di Torino. A lungo il quartiere si è presentato come lo specchio dell’espansione economica del dopoguerra, della crescita demografica, della migrazione meridionale, ma anche delle prime rivendicazione contrattuali e dei movimenti operai. Con la crisi del settore automobilistico, Torino si è dovuta reinventare e rinnovare e anche Mirafiori lentamente ha assunto e continua ad assumere nuove sembianze, con nuovi progetti di riqualificazione territoriale e integrazione della popolazione.
Ad un occhio svogliato il quartiere può sembrare sonnacchioso e di poco interesse, ma con una macchina fotografica in mano, una buona compagnia e la voglia di camminare, si scopre il volto autentico ed energico di un’area ricca di verde, di storia e di luoghi da scoprire. Così ci si immerge tra la natura dei parchi Colonnetti, Piemonte e Boschetto, per godersi pace e tranquillità o farsi un giro in bicicletta e poi si viaggia nella storia del Castello Di Mirafiori, del Mausoleo della Bella Rosin, dell’edilizia popolare delle “case Fiat”.
Si osservano le corse dei ragazzini in bicicletta, o le partite di calcio o quelle di basket nel campetto con la rete del canestro un po’ strappata e si continua a camminare fino a scoprire i progetti sociali degli orti urbani, dove ho conosciuto il sorriso di Giulio, affabile e disponibile responsabile dell’orto che si trova tra la Bela Rosin e il Parco del Sangone, che ci ha accolti nella sua realtà fatta di sole e cura del suo piccolo orto o i fratelli emigrati da Napoli, che ci hanno offerto pizza, da bere e i loro racconti.
Partecipare al workshop è stata per me un’occasione per esplorare e conoscere una circoscrizione spesso osservata in modo frettoloso e disattento e anche un modo per raccontare un pezzo di città e la sua vita. Le larghe strade, gli alti palazzi, ora moderni caseggiati, ora palazzi popolari, i giochi di carte e di scacchi dei pensionati, sempre pronti a scambiare una chiacchierata e un racconto di sé, come se il quartiere fosse un’estensione del loro paese, dove ci si ritrova, nei soliti posti, con i soliti amici e le stesse piacevoli abitudini. Un quartiere che si riscopre nelle iniziative culturali della Casa del Parco di Via Panelli o della Cascina Roccafranca, centri di aggregazione per ogni fascia di età, ma anche negli spazi ricreativi della Bocciofila o dei numerosi campi sportivi. Osservandone la quotidianità ho imparato a riconoscere la piacevolezza dell’incontro, dell’ospitalità, della voglia di integrazione e di socialità e della vitalità di una zona che vuole continuare a crescere e migliorarsi dimostrando di essere capace di andare oltre all’immaginario collettivo di quartiere industriale .
Fabia Viscusi
Alcuni fanno un viaggio in Tibet, altri in Patagonia…io, insieme ad altri esploratori che venivano da Torino, ma non solo, ho scoperto una circoscrizione, la mia, con due volti, quello ora rassicurante di Santa Rita, con i palazzi alti ma ordinati, con tanto verde, Parco Rignon, la biblioteca tra gli alberi, Piazza D’Armi, il paradiso dei podisti, le piscine per un tuffo refrigerante…ed un altro, Mirafiori Nord, che mostra una faccia più ribelle, con alcuni lati oscuri e desolati, ma egualmente attrattivo, forse di più, con i suoi spigoli. In Santa Rita trovo me stessa, i miei ricordi di bambina, le attese al di fuori dal “Comunale” per entrare dieci minuti prima della fine della partita, mano nella mano con mio padre, i giochi a nascondino e a rincorrere la palla nei giardinetti fuori dalla “Casalegno”, una scuola pioniera negli anni settanta, dove già si imparava l’inglese dalla prima elementare. Le classi erano aperte, per noi la maestra non era una, ma tante e tanti erano i compagni che conoscevamo, là ho scoperto la parola “psicomotricità” a sei anni, “Caro amico ti scrivo” e “La guerra di Piero” imparate a memoria…
Mirafiori allora era lontana, era la periferia, la Fiat, la fatica, le lotte operaie, era mio zio che non aveva voluto studiare e ci lavorava, le siringhe abbandonate dagli eroinomani, però queste si trovavano anche in Santa Rita, anche nello splendido Parco Rignon. Ma in Mirafiori, ora, ho visto il sorriso aperto e l’orgoglio di due anziani che passano il tempo a giocare nel loro ritrovo in via Giacomo Dina, ho visto gli studenti del “Cottini” che inciampano nella vita di Vanda Maestro, raccontandone la sua storia, li ho guardati disegnare sulla collinetta dei giochi di Piazza Livio Bianco, mentre i lucernari della Chiesa li adocchiavano. Si, quella punta di matita in mezzo ad una piazza è una Chiesa, Gesù Redentore, dove spalanchi gli occhi all’interno volgendo lo sguardo verso l’alto, alla sua volta piena di sfaccettature, di chiaroscuri. E poi le macchie rosse nella polvere, i ragazzi dalla divisa rossa nel campo da gioco spelacchiato, a correre dietro al pallone…
Tutto questo non l’avrei mai visto da sola, soltanto lo sguardo d’insieme, con gli altri compagni di viaggio, mi ha fatto scoprire aspetti, che si trascurano nella vita di tutti i giorni, nella fretta degli impegni quotidiani. E le nostre macchine fotografiche li hanno cristallizzati, in un racconto corale.
Milena Sacco
Il workshop fotografico su Mirafiori è stata un’esperienza dalle tante sfaccettature: ha fatto riaffiorare in me episodi che ricordo con tenerezza, ma al tempo stesso mi ha fatto riflettere su come ci si deve sempre approcciare alle persone, sia dal punto di vista personale che fotografico, vale a dire con curiosità e rispetto.
Mirafiori è un quartiere che conosco fin da piccola, attiguo a quello in cui sono cresciuta ed abito. Ricordo il parcheggio dei dipendenti Fiat pieno di macchine in settimana, quanto deserto nel weekend: è lì che ho imparato a guidare insieme a mio padre. Così come ricordo la sera in cui mia sorella ed io abbiamo fatto una lunghissima coda per accedere alla camera ardente dell’Avvocato Agnelli, che per la città di Torino è stata una figura assolutamente totalizzante. Effettivamente non c’è una persona che conosca che non abbia avuto un parente dipendente della Fiat. Tuttavia ora Mirafiori non è solo più la Fiat in senso stretto, ma è l’eredità\evoluzione di quella realtà di fabbrica. La grande fiumana di gente che ci ha lavorato, nonostante arrivasse da diverse parti d’Italia, ha messo le sue radici qui e qui è cresciuta, creando relazioni molto profonde. L’umanità che io e i miei allegri compagni di viaggio abbiamo riscontrato è stata impressionante; disarmante l’intensità di certi sguardi di persone che si sono raccontate con estrema sincerità e concretezza.
Mi sono avvicinata alla fotografia solo recentemente e probabilmente, come tanti all’inizio, rimango molto affascinata dalle forme, dai colori, dalle emozioni che mi genera la realtà che ho intorno. Il workshop di fotografia sociale mi ha fatto capire l’importanza di testimoniare un territorio, come quello di Mirafiori, dalla grande storia e dalla calorosa tradizione. Il valore aggiunto del corso è stato ricordare che nella vita delle persone occorre entrare in punta di piedi, aspettare il momento giusto per la foto, conoscere prima di scattare. Ogni persona ha la sua storia intensa e speciale, bisogna avere cura nel rappresentarla fotograficamente. Da questo punto di vista Mirafiori è un esempio sociale e credo sia giusto valorizzarlo.
Giorgia Colombano
Fotografie di: Patrizia Bonfratello, Lucia Cheller, Giorgio Ciattaglia, Giorgia Colombano, Paola Dondoli, Sara Miletto, Ivo Moraschini, Milena Sacco e Fabia Viscusi.
Assistente: Giulia Giordano