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E’ il 1974 quando la Spagna si ritira dalla colonizzazione del Sahara Occidentale e due anni dopo nasce la Rasd (Repubblica Araba Saharawi Democratica), un nuovo Stato il cui territorio, dalle coste pescose e ricco di fosfati, è immediatamente annesso dal Marocco nei suoi confini. Il Sahara Occidentale attende da allora di vedere riconosciuto il proprio diritto all’autodeterminazione.

Uno Stato occupato illegalmente che è stato diviso da un muro nel deserto: il Muro de la Verguenza (vergogna), alto fino a 30 metri e lungo ben 2400 chilometri, realizzato dal governo marocchino si snoda longitudinalmente nel deserto separando i Saharawi dalle loro coste e città; 200.000 persone sono relegate da decenni nei campi profughi della vicina Algeria, a cui viene preclusa qualsiasi possibilità di sviluppo. I campi sono quattro, sparsi nel deserto algerino nel raggio di un centinaio di chilometri.

Attraverso l’obiettivo della macchina fotografica abbiamo cercato di raccontare l’ordinarietà di una situazione straordinaria.

Nei campi si percepisce una situazione di attesa.

Attesa di un futuro diverso dopo 36 anni di vita precaria, attesa di un referendum che il Marocco non vuole indire, una attesa che frustra le giovani generazioni, che non possono vedere i campi per il futuro dei loro figli.

Nei campi la vita scorre in attesa che qualcosa accada.

E nell’attesa tutto appare sempre precario.

Ogni anno viene organizzata una manifestazione nel deserto, al muro marocchino per denunciare l’occupazione e le condizioni di vita nei territori marocchini occupati: violazioni dei diritti umani, detenzioni arbitrarie e illegali, torture, scomparse.

Malgrado l’assoluto silenzio della comunità internazionale, i Saharawi continuano ad attendere la loro primavera araba.

Federico Guiati

Fotografie di: Hadj Bamba, Matteo Galli, Federico Guiati, Gianmario Ledda, Donato Picicci, Martina Rossi.

Workshop organizzato in collaborazione con l’Arci