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Dove è ora campagna, lì fu la capitale della Magna Grecia; dove è Taranto, là sorgeva una rocca ardita; tu Quinto Fabio Massimo, voi Goti e Saraceni non gloriatevi. Distruggeste crudelmente la città, ma potevate annullare le sue delizie, lo straordinario spettacolo della natura?

Giuseppe Regaldi – Iscrizione del 1845

Il cuore di Taranto è un’isola, un battito vecchio di almeno mille anni. Un cuore che iniziò a pulsare con l’imperatore bizantino Niceforo II, che prese a ricostruire la città sull’isola. L’idea era quella di una difesa da eventuali sbarchi dal mare di nuovi invasori, visto che nel passato era già accaduto. Vennero costruiti vicoli stretti, postierle, pendii, acquedotti e salde mura. Niceforo rese inoltre più bassa la costa lungo il Mar Piccolo per consentire ai pescatori di praticare facilmente il loro lavoro Sorsero i pittaggi, quartieri abitati da pescatori e marinai, e negli anni anche da artigiani, mercanti, negozianti, vetturini, speziali. Una città viva, che pulsava tra i suoi angusti spazi, dove i raggi di sole sembravano solo una speranza.

Taranto vecchia è un posto speciale. Percorrendo le sue strade, si ha l’impressione di trovarsi in un mondo a parte, in un’atmosfera diversa, per nulla simile a quella che si respira altrove. Addentrandosi dell’isola, ci si accorge di quanto sia facile passare da uno scorcio mozzafiato ad un altro: dal mare a strapiombo dalla ringhiera di Corso Vittorio Emanuele II, alle architetture di chiese e palazzi d’epoca, dal fascino antico delle colonne del Tempio di Poseidone, a quello quotidiano dei balconcini delle case, da cui pendono lenzuola e capi di biancheria variopinta. Ci si riscalda nei ristoranti, nelle piccole trattorie, o davanti ad una puccia, in uno “spuntino” improvvisato di mezzo pomeriggio.

All’epoca della grande industrializzazione, la città aveva un problema di sovraffollamento, inasprito dalla creazione dell’Arsenale della Marina Militare. La popolazione tarantina venne progressivamente assorbita in questo nuovo settore, il che non rendeva più necessaria la sua permanenza sull’isola.

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Tamburi sorge appena dopo aver attraversato il ponte Punta Penna, uno dei due collegamenti dell’isola alla città. E’ il rione che da sempre ha ospitato gli operai della grande industria siderurgica (l’Italisider prima, l’Ilva poi), un’altra città dentro la città dei due mari. Il mercato del sabato richiama un gran numero di persone anche dai quartieri vicini, in un trionfo di bancarelle, nelle quali si può acquistare qualsiasi cosa, frutta, pesce, vestiti, fino ad arrivare agli arredi per la casa, come specchi, comodini e mobili. Ci si ubriaca quasi da dimenticare lo sguardo delle finestre, da tutto intorno ti fissano coi loro bordi colorati di rosso, come mascara su malinconici occhi.

Perché il cuore di Taranto è nella sua gente, nella loro cordialità. Lo senti battere al Mercato del pesce oltre il ponte girevole, nelle voci che riempiono l’aria, nei gesti come rituali ripetuti a memoria, così affascinanti che rapiscono. Batte al molo tra i pescatori a riva, o nelle barche appena ormeggiate, cariche di collane ornate da cozze che ondulano sinuose a mezz’aria, mentre vengono depositate sulla terra ferma, per essere lavorate e portare al mercato poco distante.

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Se si passeggia nel periodo natalizio, è facile imbattersi in scale appoggiate su muri antichi. Ai loro piedi c’è sempre qualcuno a tenerle salde, per facilitare il compito dei più intraprendenti in cima, indaffarati nel sistemare le luminarie. Così, dopo un breve saluto, ci si ritrova ad essere invitati nel circoletto del vicolo a bere birra, ascoltando le storie dell’isola a deliziare gli avventori. In qualsiasi periodo dell’anno, non mancano i bambini che sbucano dai vicoli, o che giocano a calcio nelle piazzette che vi si aprono a forza.

È qui il cuore di Taranto, in una sera di inizio dicembre, avvolti nelle giacche per il freddo, seduti su sedie di plastica. Negli occhi le foto che scorrono sulla parete, nelle orecchie le parole cariche di passione delle persone che a turno illustrano i propri progetti fotografici, così diversi tra loro, ma tutti accomunati da un solo spirito, riportare Taranto alla sua antica, palpitante, unica bellezza.

Andrea Mancuso

Fotografie di: Lucia della Valle, Giovanni Fiorino, Barbara Gioga, Pierfrancesco Lafratta, Andrea Mancuso, Rossana Messana, Giulia Pantò, Laura Pezzenati, Ilaria Sperandio.

Assistenti: Cosimo Calabrese, Martina Giordani

Musiche: Jazzy Frenchy – Bensound | The Show Must Be Go – Kevin MacLeod

Workshop organizzato in collaborazione con Cosimo Calabrese e Witness Journal.