14-08 wks Taranto

“…il meglio della vita di Taranto vecchia è all’aperto, sulla banchina, tra la muraglia delle case e il Mar Piccolo. È uno dei posti più vivaci dell’Italia del Sud, e non saprei trovarne di paragonabili; sembra illustrare una novella orientale, di quelle dove i pesci parlano e sputano anelli preziosi. Forse perché la merce si espone e si vende con i vecchi metodi, vi è qui una vera comunione tra il porto, la gente che grida e i fondi marini”

(Guido Piovene in Viaggio in Italia, Mondadori, 1957)

Dalle banchine della città vecchia, guardando verso l’orizzonte, gli alberi dei pescherecci ormeggiati nel porto incocciano nelle ciminiere sullo sfondo e le nuvole si confondono con i fumi esalati della grande industria.

Basta però chiudere gli occhi un attimo, lasciarsi travolgere dalle grida dei pescatori e dei ragazzini e dall’odore delle bancarelle dei pescivendoli, per ritrovarsi in un tempo che pensavamo perduto. Secoli di storia e di tradizioni non sono stati cancellati da quelli che Piovene definiva “gli interessi e i capricci di un giorno”.

I fumi dell’industria e dei frequenti crolli edilizi non sono riusciti a offuscare le profonde radici della cultura marinaresca della città vecchia. Repentini e spesso tragici cambiamenti, testimoniati ovunque dalle rovine che affiorano dal sottosuolo (qui le colonne doriche, lì un muro di epoca bizantina e altrove residui architettonici delle dominazioni spagnole e francesi), hanno plasmato profondamente lo spirito della città vecchia. Se la prima impressione può essere quella di un territorio rassegnato al proprio destino, sotto lo strato di polvere che avvolge l’isola si possono intravvedere le radici di una cultura popolare tenace e resistente alle prove del tempo.

Sperduto negli stretti vicoli, il visitatore è soccorso da coloro che vivono nella città vecchia e che, in un certo senso, sono la città vecchia stessa. Non si può essere semplici visitatori nell’isola per più di qualche minuto. All’ospite (ed è tale anche chi vive al di là del ponte, nella parte nuova della città) è sufficiente incrociare lo sguardo con uno degli abitanti per essere accolto: in men che non si dica si ritrova ad ascoltare storie e leggende in cui il confine tra dramma e commedia è sempre labile.

Un ringraziamento per la preziosa collaborazione a Lino de Guido, Antonio Mariano, Enzo Risolvo, Bar Cicchetto, Casa Museo “Raffaele Carrieri” e a tutti gli abitanti della Città Vecchia.

Fotografie di: Erika Cresti, Domenico d’Erchia, Tonio Giuliani, Francesca Ragusa, Nicola Sacco.

Assistenti: Cosimo Calabrese e Nicola Sacco

Workshop organizzato in collaborazione con Witness Journal Masterclass