CAM(M)INI – Workshop di fotografia sociale con Giulio Di Meo e Nicola Zolin
27/30 Agosto 2020 | Camini (Rc)
Che tu debba partire.
Che tu abbia la fortuna di arrivare.
Che tu possa essere accolto con la dignità che ogni essere umano merita.
Che tu possa avere conservato qualche lacrima per poterla lì versare.
Che le tue lacrime possano essere cariche di gratitudine,
Per quella solerzia, quella vicinanza e quell’amore che tu,
Quando le frontiere erano favorevoli ai tuoi punti cardinali,
Non hai avuto la grandezza di donare.
Valentina Stirone
Camini è cammino. Un paese inerpicato, in cui arrampicarsi, contando sempre in un incontro, non scontato, seppur magari, dopo poco, familiare. Case diroccate, case nuove e case recuperate. Che dicono di una storia che ha fluito, un po’ costruendo e un po’ distruggendo. Tanti piccoli ruscelli, in cui lasciarsi scivolare, incespicando qua e là in attività non scontate, alcune talmente familiari e dimenticate che tornano a stupire. Lasciarsi accompagnare da un andare lento e spontaneo, e ritrovarsi in una piazza che apre sul mondo, il mare, sulla sinistra, i colori sui volti, davanti a te, l’istituzione, sulla destra, anche questa non austera, avvicinabile, con un profilo vivo, ricco di significato.
Ci si stupisce di quanto tutto risulti semplice, possibile. Incontri, che si sentono spesso raccontare come scontri, diventano spontanei, non da costruire, solo da lasciare succedere. Non c’è bisogno di inventare luoghi di aggregazione e integrazione, semplicemente avvengono nel fare insieme e nello stare, nelle stanche ore calde del primo pomeriggio, o nelle ore serali dove la piazza si anima; la voglia di raccontare, e ascoltare, costruisce senza fatica, pare quasi senza intenzione.
Ritrovarsi con una macchina fotografica in mano in un contesto nuovo, può fare reagire in tanti modi, iper attivazioni per non lasciare sfuggire nulla, immobilismi..in fondo per lo stesso motivo. Viene voglia di comprendere, guardare, soffermarsi. Osservare la vita che si muove, senza frenesia, senza particolari imposizioni, senza ricerca di pose. Ci sono alcuni volti che diventeranno presto familiari, a cui verrà voglia di ancorarsi, per ritrovare un senso di prevedibilità e sicurezza, che però, si capisce presto, non è così necessario come nel complesso groviglio metropolitano a cui si è abituati. Bisogna, però, presto attivarsi per poter testimoniare, per mostrare questo pezzo di Italia, di mondo, a chi pensa che tutto questo sia impossibile, portare un’utopia realizzata, a disconferma delle urlate problematiche, descritte come insuperabili.
Dopo poco si iniziano a conoscere le strade, alcuni angoli ed edifici, eppure è proprio nella loro imprevedibilità che si trova la vera potenzialità. Possibilità di imbattersi in qualcosa di diverso dall’atteso, possibilità di incontrare l’altro sempre felice di aiutare e aggiungere all’indicazione un racconto, un aneddoto, una storia, la sua, quella di altri, o di Camini. I cittadini caminesi raccontano con dolcezza di questo paese, amato, lasciato, ritrovato o mai abbandonato.
Il rischio dell’idealizzazione, di questo mondo visto da fuori, è elevatissimo; la voglia di credere alle favole a lieto fine sempre presente. Quello che succede qui non è facile, va costruito, monitorato, non dato per scontato. È qualcosa di estremamente complesso che può avvenire con una semplicità disarmante. Perché ciò che è complesso non è necessariamente complicato, ha solo più realtà all’interno, rifugge la semplificazione. La mente non può non correre a una esperienza, la prima, di questa sperimentazione sociale, che nella sua semplicità ha disarmato e creato una tale ostilità da essere fatta a pezzi. Riace è a pochi chilometri, in quello che qui succede si sente l’eco di quella realtà oggi ferita.
L’incontro tra gli abitanti storici di Camini e quelli di più recente acquisizione non può essere dato per scontato, è qualcosa che avviene, ma che va anche coltivato, protetto, reso possibile. Non significa trovarsi necessariamente tutti d’accordo, ma cogliere l’opportunità dello scambio che ci può essere, anche eventualmente dello scontro. Anche l’incontro tra “noi fotografi”e i cittadini di Camini non è solo poesia. I fastidi, le increspature, le incrinature sono state occasioni di coglierne la realtà, perché come si diceva, cadere nella retorica delle favole è uno scivolamento facile, in cui però invece di arricchirti perdi qualcosa. E andandotene speri di poter tornare per ritessere qualche trama rimasta a metà e rincontrare quelli che sono diventati volti con una storia; dal giovane ragazzo nigeriano con cui ti auguri di poter continuare a parlare per la sua disarmante ingenuità, al padre di famiglia eritreo con il quale speri di poter recuperare un discorso lasciato a metà, dalla signora che è un pezzo di storia di Camini e che sai avrebbe avuto tante e tante cose da raccontarti se ne avesse avuto la possibilità, al Sindaco, sempre pronto a un incontro non ingessato, che riesce a trasmettere tutta la speranza e la passione per quello che fa, fino agli artigiani, veri artisti, che è ormai sempre più raro incontrare, che trasmettono una passione che restituisce il senso di un sistema diverso possibile. Speri di rincontrare gli sguardi dei bambini, delle loro mamme e dei loro papà, il buongiorno e le buonanotte delle persone che gestiscono bar e ristorante, caldi, pieni, contagiosamente allegri. Si desidera avere più tempo, per parlare, per esempio, con la persona che sembra essere la rappresentazione e il cuore pulsante di questa realtà, che crede nella sua ricostruzione e la pratica. E rincontrare tra quei viali la ragazza dalle meravigliose treccine colorate, poterle strappare un sorriso o poter accettare il suo volto serio, appezzando la verità di quell’espressione. Dimenticando per un po’ che quel che sta avvenendo tra quei viali e quella piazza è possibile grazie a un lavoro silenzioso, ma incessante, tenendolo a mente, un po’ lateralmente, per non perderti nelle favole, ma per credere che una realtà così sia davvero possibile.
Valentina Stirone
Fotografie di: Barbara Banchelli, Carmine Gravina, Cristina Sartorello, Eliana Decet, Marina De Luca, Martina Castellaneta, Paola Cesari, Roberto Pozzi, Valentina Stirone.
Docenti: Giulio Di Meo e Nicola Zolin.
Musiche: Vals Azul di Stefano Torre eseguita e gentilmente concessa dal gruppo dei Domo Emigrantes.
Dall’album AQUAI (2017) prod. Domo Emigrantes e Alberto Venturini
Workshop organizzato in collaborazione con la cooperativa Jungi Mundu