LOCRIDE RESISTENTE

Workshop di fotografia sociale con Giulio Di Meo e Nicola Zolin

20-24 giugno 2019 | Camini/Riace (Rc)

 

Un borgo abbandonato, le case abitate ormai soltanto da topolini e serpenti, la cittadinanza locale costretta ad emigrare verso la Germania, il Nord America, il Nord Italia. Il sogno di un loro ritorno, mai avvenuto. Di un nuovo inizio, mai verificatosi. E così, a passeggiare tra le dimore in rovina, non erano rimasti che i più anziani. E chi come Selmo, che ha vissuto per 48 anni a Francoforte e ora torna soltanto per le vacanze estive, portandosi un bagaglio di ricordi di una vita che non c’è più. Da sempre la casa accanto alla sua ha il tetto squarciato. Fin da bambino gli hanno raccontato che il proprietario è partito per l’Australia dopo la seconda guerra mondiale. Voleva guadagnare abbastanza per poter terminare i lavori: non è tornato più. Il processo di spopolamento inesorabile ha costretto l’asilo a chiudere. Alla scuola elementare a un certo punto v’era soltanto una classe unica, che raggruppava tutti i ragazzi dai 6 agli 11 anni. Il tabaccaio aveva chiuso e anche per comprare il pane, si era costretti a prendere l’automobile. Una storia già sentita? Si, e soltanto a 3km di distanza.

Da Riace al paesino di Camini ci si arriva con una passeggiata di mezz’ora, tra campi di olivo e colline di terra, riarsa dal sole. Ma mai come ora i due luoghi sembrano essere così distanti. A Riace la nuova amministrazione guidata dal sindaco Trifoli – eletto dopo aver preso illegittimamente un’aspettativa da dipendente pubblico a tempo indeterminato – sta smantellando il progetto di Mimmo Lucano. Sono rimasti soltanto 50 rifugiati, tutti fuori dal progetto di accoglienza. L’ex sindaco e fondatore di Città Futura è tuttora sotto processo e non può tornare a casa. Dal suo arresto, l’autunno scorso, e dalla chiusura del progetto Sprar (che il Tar della Calabria ha successivamente dichiarato illegittima) la Riace abituata ad accogliere non si è ancora ripresa. Tre chilometri più a nord invece, i sogni di un mondo nuovo, basato sull’accoglienza, si respirano ancora. Nel vecchio borgo di Camini, la popolazione supera di poco le 300 unità e i rifugiati sono oltre un centinaio. Eppure le vita scorre tranquilla, tra queste colline che sembrano distanti da tutto il resto del mondo, e da un’Italia che ha scelto gli immigrati come capro espiatorio per una crisi che da economica è diventata soprattutto morale.

Rosario Zurzolo, fondatore della cooperativa “Jungi Mundu”, è stato uno degli ultimi bambini a frequentare la scuola materna prima che chiudesse. Da due anni, grazie ai rifugiati, l’asilo a Camini ha riaperto e ci sono ora 25 bambini. Alle scuole elementari ci sono 50 ragazzi. “L’obiettivo della cooperativa è di dare lavoro alla gente locale, per tenere vivo il borgo” racconta Rosario. “Anche osservando il successo di Riace, ci siamo resi conto che l’accoglienza era l’unica strada per salvare il borgo. Ci sono stati innumerevoli ostacoli, ma dal 2014, con la vittoria del bando Sprar, la comunità ha capito che stavamo facendo la cosa giusta”. Camini, a differenza di altri paesi della Locride, Riace inclusa, ha capito che diversificare le attività economiche avrebbe aiutato la comunità a sopravvivere.  Oltre al progetto di accoglienza, la cooperativa “Jungi Mundu ha organizzato in questi mesi laboratori di danza, yoga, fotografia, alcuni di questi grazie a dei progetti europei. Camini è stata accreditata nel programma dei “Corpi Europei di Solidarietà”, ha vinto un progetto europeo Erasmus + che si rivolge alle giovani generazioni, sta per ospitare i campi estivi di Amnesty International. Il turismo è stato rilanciato e l’affittacamere è un’importante fonte di guadagno per il paese. I fondi vengono continuamente riutilizzati per ricostruire le case del centro storico, con il grande lavoro di Cosmano e Cosimo e di rifugiati come Hassan e Kolli, che hanno imparato il lavoro del muratore e stanno collaborando a ricostruire quello stesso paesino che un giorno li ha accolti, utilizzando soltanto le pietre della zona, come si faceva un tempo.

I laboratori professionali funzionano piuttosto bene. Nancy gestisce quello di ceramica. “Mi sono sentita di entrare a far parte di una famiglia, nella quale ogni giorno ho qualcosa da imparare” mi racconta, mentre lavora ad uno dei suoi vasi che vanno a ruba. Al momento sono inoltre attivi i laboratori di falegnameria, di artigianato, la scuola di italiano, la fattoria didattica, la scuola di calcio e di ballo, offerti gratuitamente a tutta la popolazione. Nonostante il decreto sicurezza e la riforma del sistema Sprar, il numero dei rifugiati è rimasto intatto, con l’adesione di Camini ai corridoi umanitari. Circa la metà dei rifugiati sono siriani, arrivati legalmente dai campi profughi in Giordania e in Libano. Tutto ciò ha permesso a Camini di continuare a navigare verso il proprio sogno, nonostante la tempesta politica che ha scosso l’Italia e la Locride in particolare, dove molti progetti di accoglienza che in questi anni avevano dato linfa al territorio, stanno piano piano chiudendo.

Durante il workshop abbiamo condiviso con i cittadini e gli ospiti di Camini la quotidianità, esplorando le attività e i laboratori della cooperativa “Jungi Mundu”. Ogni fotografo ha cercato di raccontare la realtà del paesino, con il proprio sguardo unico e particolare, cercando di cogliere i diversi aspetti di questa piccola quanto significativa realtà. Lo sguardo fotografico dei partecipanti del workshop si è esteso alle vicine realtà dei paesini della Locride che hanno adottato il modello di accoglienza diffusa: Riace, Caulonia, Gioiosa Ionica. Il risultato è una documentazione approfondita di questo esperimento di accoglienza che ha dato speranza ai paesani di un luogo in via di spopolamento, ma soprattutto a molte persone che hanno lasciato realtà difficili in cerca di un nuovo futuro, di un nuovo presente, che per ora si chiama Camini, che per una settimana è stata casa nostra: casa sia nel senso fisico, che nel senso affettivo, perché non si lascia mai Camini senza sentire di esserne entrati a farne in qualche modo parte. E il calore di queste immagini, di queste fotografie scattate con l’intuito e con il cuore, ne sono la dimostrazione.

Nicola Zolin

Fotografie di: Ilaria Abo Rahmy, Helga Bernardini, Andrea Chierici, Riccardo Geminiani, Nicoletta Incerti, Gianmario Ledda, Fabrizio Martelli, Rossana Messana, Laura Raite, Lucia Zullo.

Musiche: Sneeuwland di Oskar Schuster & Lonely Satellite di Bio Unit – freemusicarchive.org

Workshop organizzato in collaborazione con la cooperativa Jungi Mundu

 

Camini: il racconto di Helga

Camini fa parte della rete nazionale Recosol (Rete Comuni Solidali), è quindi uno dei 300 Comuni Italiani che fa dell’accoglienza un’occasione di integrazione reale, sviluppo, ripopolamento e valorizzazione del territorio.

I migranti a Camini svolgono svariate attività, sia lavorative che formative. Hanno quindi la possibilità di mettere a frutto i propri talenti, di acquisire nuove competenze e di metterle a frutto in una visione di bene comune e di recupero dei mestieri tradizionali. Il laboratorio di panificazione, il laboratorio artistico, quello di ceramica, il laboratorio multimediale, arricchiscono giornate scandite dai corsi di italiano, dal lavoro nei campi e per la cura del territorio.

Anche nei momenti liberi dalle attività organizzate, rifugiati e paesani sono coinvolti in attività comuni che diventano occasioni di conoscenza, di scambio, di cura: si può scegliere di cantare nel coro multietnico, organizzare eventi ludici e culturali e, naturalmente, le immancabili partite al campo sportivo.

Come è avvenuto con Riace, che sorge a soli 3 km di distanza, anche questa piccola cittadina jonica è diventata col tempo un modello di studio a livello internazionale grazie al lavoro ventennale della cooperativa che gestisce lo Sprar (Sistema Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati): la cooperativa “Jungi Mundu” (in calabrese “unisci il mondo”) fondata a Camini nel 1999.

L’internazionalismo di Camini si respira non solo per le provenienze dei richiedenti asilo (Siria, Bangladesh, Eritrea, Ghana e altre), ma anche perché qui si alternano gruppi di volontari di ogni parte del mondo: Slovenia, Norvegia, Olanda, solo per citare le nazionalità dei gruppi che abbiamo incontrato durante la nostra, brevissima, permanenza.

L’apertura di Camini ai progetti di volontariato internazionale nasce qualche anno fa dall’ incontro tra “Projects Abroad”, organizzazione con sede in Inghilterra, e la “Jungi Mundu”. Con il tempo la cooperativa ha moltiplicato i progetti europei, aderendo al programma dei Corpi Europei di Solidarietà, al progetto Erasmus+, e diventando sede dei campi estivi di Amnesty International. Un percorso efficace e lungimirante che coniuga sempre le tematiche dell’accoglienza, della pace, dello sviluppo sostenibile alle iniziative sociali, creative e artistiche finalizzate a un protagonismo giovanile.

In un circolo virtuoso, parallelamente, è stato rilanciato il turismo creando un introito decisivo per la comunità. I proventi del turismo solidale, infatti, vengono reinvestiti nella ricostruzione delle case che nel corso degli ultimi decenni sono state progressivamente abbandonate a causa dell’emigrazione verso il nord Italia e il nord Europa. Ora Camini conta circa 300 residenti, poco di un centinaio sono i rifugiati. La scuola è stata riaperta, così come l’ufficio postale, la farmacia, un negozio di alimentari e il bar. Si respira un clima di comunità coesa, laboriosa, ben determinata a viaggiare controcorrente che guarda al suo futuro con le maniche arrotolate.

Helga Bernardini