Wks Corleone 2016

Un workshop di fotografia sociale tenuto a Corleone, organizzato da Arci e dalla Cooperativa “Lavoro e non solo”, per raccontare attraverso la fotografia l’esperienza dei volontari e delle volontarie del campo legalità “LiberArci dalle Spine”. Grazie ai campi della legalità migliaia di giovani, dal 2005, scelgono ogni estate di fare un’esperienza di impegno e di formazione sui terreni e sui beni confiscati alle mafie. L’obiettivo principale dei campi è quello di diffondere una cultura fondata sulla legalità democratica e sulla giustizia sociale, che possa efficacemente contrapporsi alla cultura della violenza, del privilegio e del ricatto.

La Cooperativa Sociale “Lavoro e non solo” nasce dal progetto associativo di Arci Sicilia, e dal febbraio 2000 gestisce beni e coltiva terreni confiscati a Cosa Nostra tra Corleone, Monreale e Canicattì, favorendo l’inclusione sociale di soggetti in condizione di disagio e marginalità. Come il progetto Drago, grazie al quale un gruppo di richiedenti asilo svolge attività nei campi con l’obiettivo di sviluppare tutte le competenze necessarie per seguire l’intero processo di filiera dalla coltura, alla diffusione sul mercato dei prodotti provenienti dalle terre confiscate alla mafia.

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Ci sono parole il cui significato, mutato nel tempo, rievoca solo immagini negative. Parole modellate delle gesta di piccole persone, poche ma abbastanza per appropriarsi di un nome comune. Esistono luoghi citati solo in relazione a un fatto di cronaca, che fa notizia certo, ma che non basta a descrivere la vita di un paese, la sua gente. Così i corleonesi non sono tutti Corleonesi. Corleone sorge in una zona di montagna, adagiato in una conca, tra la “rocca ri maschi”, il castello soprano e quello sottano. È un leone con il cuore in mano, nel suo stemma, Animosa, Civitas, Corleonis. È un giro per il paese la domenica mattina, le parole scambiate con un ragazzino mentre dipinge un bastone e il sorriso della madre che cordialmente ci accoglie sull’uscio di casa. È una melodia che arriva attraverso i vicoli e ci guida fin davanti a una porta chiusa. Il suono del campanello e l’ospitalità di un musicista che ci invita a visitare la sede della banda di Corleone, raccontandoci la loro storia, il loro lavoro. È una festa di quartiere tra la gente dallo stand del pane con panelle, a quello del vino, mentre qualcuno danza lungo la strada, sotto la luce calda dei lampioni.

“Qualcuno sostiene che questa parte di Sicilia urla o tace. Luogo comune errato: questa parte di Sicilia, a volerla ascoltare e guardare, racconta e lo fa spesso sottovoce. Racconta la fatica, la bellezza, la voglia di riscatto, racconta campi aridi confiscati alla mafia che con lo sforzo leggero di giovani di provenienze diverse regalano frutti e inserimento lavorativo. Racconta posizioni di chi non vuole essere etichettato e chiede solo il rispetto per una natalità che non si è scelto, in una terra che è diversa da ciò che si crede. Si guardano incuriositi i corleonesi e i ragazzi arrivati per lavorare i campi nel progetto Liberarci dalle spine. In un valzer fatto di memoria e speranza, di vestiti cuciti addosso da cambiare con quelli adatti, di volontà di rilanciare e conoscere. Un passo alla volta, in punta di piedi. Abbiamo provato a farli vedere con le immagini, questi frutti della legalità”. (Debora Leardini)

“Una scommessa per nulla scontata, tesa a interpretare in cinque giorni l’esperienza dei campi lavoro, attraverso il filtro di persone differenti per età, formazione, esperienza e provenienza geografica. Un momento di continua provocazione su temi che ormai sentiamo abusati: il pregiudizio sui luoghi cosiddetti mafiosi e sul meridione, la legalità, la resistenza antimafia, l’omertà. La fotografia e il reportage in particolare, può essere un mezzo oggettivo di documentazione dei fatti e delle cose; ma se si è curiosi veramente e se ci si lascia permeare affettivamente da quello che si incontra, può essere anche un mezzo costruttivo per leggere e mostrare un’esperienza di vita in maniera non retorica o scontata, e aggiungere nuovi dati alla semplice registrazione dei fatti. Un grande fotografo italiano (Ugo Mulas) in una nota intervista diceva: <<…E poi non è soltanto questo fatto così elementare, è anche l’atteggiamento, il sorriso, il movimento imprevisto che, nell’attimo in cui tu scatti, una persona fa; (…) a volte capitano appunto degli impatti, delle cose che non sono tue, che tu magari accetti, che tu in un certo senso puoi anche aver previsto, oppure accetti perché andavi cercando proprio che succedesse qualche cosa che tu non avevi previsto. Anche questo è interessante come aspetto, cioè lavorare proprio andando a stuzzicare il caso, la fortuna, cosa che è tipica del fotografare>>”. (Antonella Speziale)

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Un ritorno alla terra. Da cosa nostra a casa nostra, la Nostra Terra. Sotto il sole della Sicilia, la musica dei telefonini scandisce il ritmo del lavoro. C’è chi davanti all’obiettivo si mette in posa, chi al contrario per l’imbarazzo vorrebbe nascondersi tra le foglie. Divisi per gruppi ci si stende lungo i filari raccogliendo grappoli d’uva, tra le coltivazioni di pomodori o a raccogliere sassi in terreni da spietrare. Si chiacchiera, si scherza ma non ci si risparmia, al punto che nelle pause la bottiglia d’acqua fresca diventa la migliore compagna di sempre. Qualcuno a turno, tra i volontari, rimane a Casa Caponnetto per le pulizie dei luoghi condivisi, le stanze, i bagni, mentre in cucina si cimentano i cuochi di Liberarci dalle Spine. Si vive in sinergia ogni momento, in un clima inclusivo, di partecipazione. Un continuo nella memoria. In cerchio immersi nella silenziosa cornice di Portella della Ginestra, ascoltando le parole di Serafino, l’ultimo sopravvissuto a quel tragico 1° maggio del ‘47, l’emozione nel suo trovarsi lì, a ricordare. Accalcati nell’atrio di Casa Memoria di Peppino e Felicia Impastato a Cinisi, mentre la testimonianza di Giovanni Impastato riempie gli occhi dei presenti. A Palermo, tra il mercato di Ballarò e la Kalsa, ci si ferma davanti al Bar Lux, in via D’Amelio, in via Notarbartolo. Dalla bottega della legalità nel centro di Corleone, bene confiscato alla famiglia Provenzano, all’interno del cimitero comunale, davanti a Placido Rizzotto e Bernardino Verro. Una storia fatta di persone, idee, avvenimenti, consegnata alle nuove generazioni. La nostra storia tramandata nel tempo, perché come nelle parole di Serafino, “Se smettiamo di parlarne, dimentichiamo. Se dimentichiamo è come se quel fatto non fosse mai accaduto”.

Andrea Mancuso

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Fotografie di: Laura Alicino, Patrizio Broggi, Elisa Castoro, Cristina Cozzini, Annalisa Durighello, Martina Giordani, Debora Leardini, Andrea Mancuso, Mirko Prosseda, Doralice Renzi, Antonella Speziale.

Assistente: Martina Giordani

Musiche: Ma cu siti viautriLa mafia non esiste di Pino Veneziano eseguite dai MondOrchestra

Ringraziamo Calogero e tutti i soci della Cooperativa “Lavoro e non Solo”, per l’ospitalità e per averci mostrato la loro esperienza di impegno e di lotta. I ragazzi e le ragazze del progetto LiberArci dalle spine, i volontari e le volontarie dello Spi-Cgil e i ragazzi del progetto D.R.A.G.O. per la loro pazienza e disponibilità, Serenella Pallecchi di Arci Toscana, Tommaso Gullo e Luciano Rizzuti di Arci Palermo, il coordinatore del campo Alessandro Celoni, Valentina Roversi di Arci Nazionale, Serafino Petta per la sua testimonianza a Portella della Ginestra, Giovanni Impastato per il suo tempo e le sue parole.