“Se voi prendete una verga sola la spezzate facilmente, se ne prendete due le spezzate con maggiore difficoltà. Ma se fate un fascio di verghe è impossibile spezzarle.

Così, se il lavoratore è solo può essere piegato dal padrone, se invece si unisce in un fascio, in un’organizzazione, diventa invincibile….”

Bernardino Verro

La scritta “Capitale Mondiale della Legalità” campeggia sotto al cartello che indica l’entrata nella città di Corleone. Com’è possibile, viene da chiedersi, che questa città sia un simbolo di legalità? Da un anno ormai la città è commissariata per infiltrazioni mafiose e, malgrado le vie e le piazze siano dedicate alle vittime di mafia, l’aria che si respira non è di certo quella di una città libera. Corleone è famigerata, a livello nazionale e mondiale, per via dei fatti sanguinosi legati a Cosa Nostra e alla sua storia e i corleonesi si trovano spesso imprigionati in uno stereotipo che li vuole criminali e, soprattutto, complici.

Proprio per questo quel cartello alle porte della città ha ragione di essere, in quanto simbolo di riscatto e di resistenza. Corleone, come del resto la Sicilia e forse l’Italia intera, culla in seno sia il veleno, sia l’antidoto. Questa città ha dato i natali a moltissimi mafiosi, fautori di alcune delle pagine più oscure della nostra storia, ma è anche da quelle stesse strade e da quegli stessi campi che ha avuto origine la prima forma di antimafia.

Bernardino Verro, primo sindaco socialista di Corleone, venne assassinato dalla mafia nel 1915. Nel 1892 Verro venne coinvolto nella fondazione di un gruppo di Fasci Siciliani a Corleone, diventandone il presidente. Sotto la sua guida migliaia di donne e uomini, migliaia di contadini, si unirono e lottarono per rivendicare i propri diritti e per la lotta al latifondo. Verro provò ad avvicinarsi alla mafia, sperando di poterne trarre vantaggio per la sua lotta, ma ben presto si rese conto che quei due mondi erano inconciliabili: mafia e diritto non sono sinonimi, ma contrari.

Il movimento dei Fasci Siciliani subì una forte repressione da parte del governo italiano, ma la lotta di Verro continuò imperterrita e Corleone divenne un punto nevralgico, crocevia di cooperative e scioperi agrari.

 

Anche oggi Corleone è un crocevia di storie, di impegno e di resistenza. Malgrado siano passati più di cento anni, il messaggio di Verro è ancora tangibile ed ogni anno, centinaia di ragazze e ragazzi da tutta Italia, trascorrono un pezzetto della loro estate a lavorare nei campi confiscati alla mafia, ospiti della cooperativa “Lavoro e non solo”.

Venti ragazze e ragazzi provenienti dall’estremo nord, dal Trentino-Alto Adige, hanno deciso di farsi partecipi di questa forma di resistenza quotidiana, lavorando la terra ed entrando in contatto con una realtà completamente nuova. Giorno dopo giorno, tra le zappe e i pomodori, è stato possibile comprendere che cosa significhi oggi fare antimafia in Sicilia e, soprattutto, in una città “simbolo” come Corleone.

Ci sono persone coraggiose, che da anni continuano la loro lotta, senza cedere alla paura e allo sconforto. Ci sono persone che hanno perso amici o il saluto di conoscenti per la loro scelta di vita, per il loro essersi dichiarati apertamente contrari alla mafia, poiché legittimare le azioni dell’antimafia e pronunciarsi a favore della legalità e dell’onestà comporta, ancora oggi, molti rischi. Per la maggior parte dei corleonesi restare in silenzio, non curarsi di ciò che li circonda e non parteggiare per l’una o per l’altra parte, significa restare al sicuro da occhi indiscreti. Restare nella zona grigia significa però, soprattutto, permettere alla mafia di continuare ad essere e a persistere. Quello che la cooperativa “Lavoro e non solo” cerca di fare, anche attraverso il “Laboratorio della Legalità”, è inclinare questa normalità, provando ad opporre al grigio e alla rassegnazione una vasta gamma di colori e di alternative.

Trascorrere dieci giorni a Corleone, districandosi tra le parole di Rita Borsellino, del procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, dell’ultimo sopravvissuto alla strage di Portella della Ginestra Serafino Petta, ma soprattutto tra le storie quotidiane dei soci della cooperativa e degli attivisti che quotidianamente si oppongono alla realtà mafiosa, è stato come aprire una finestra su un mondo troppo spesso ignorato e guardato da lontano. Questa sensazione di distanza, percepita solo in un momento iniziale, è stata spazzata via nel momento in cui è divenuto chiaro che quella terra apparteneva ad ognuno di noi. Sebbene così lontani geograficamente, il nostro essere lì ci rendeva parte di qualcosa di più grande, ci rendeva finalmente cittadini di questo Paese. Il nostro lavoro su quei campi era molto più che un semplice aiuto alla cooperativa: noi eravamo lì e c’eravamo assieme, per dimostrare che ciò che era stato tolto allo Stato e alla comunità, stava ritornando nelle mani della comunità e soprattutto che anche noi ci sentivamo chiamati in causa. La realtà mafiosa è sì una realtà territoriale, ma non può più essere circoscritta o confinata. La mafia riguarda tutti noi, anche se indirettamente, e a questa ci si può opporre solo in una maniera: parteggiando. Chi non prende posizione e preferisce restare a guardare è, inconsapevolmente, fautore di tutto ciò che non funziona a Corleone, in Sicilia e in generale in questo Paese. Chi di fronte alle ingiustizie volta lo sguardo è spesso più colpevole di chi oggi afferma che “ci vorrebbe un Totò Riina”.

Il giallo dei campi, il blu del cielo, le risate, le canzoni e l’esserci assieme, l’uno per l’altro, ha confermato quanto detto da Bernardino Verro più di un secolo fa. E’ impossibile spezzare un fascio di verghe, così come sarà impossibile spezzare l’antimafia se questa continuerà a camminare sulle gambe di migliaia di persone. La lotta oggi ha cambiato faccia e le manifestazioni, gli scioperi, sembrano quasi metodi anacronistici. Oggi questa parte dal basso e punta ad una rivoluzione culturale. Lotta, in Sicilia, significa rifiutarsi di pagare il pizzo e di sottostare alle logiche mafiose. Lotta, significa non voltare lo sguardo e farsi portatore sano di legalità, di partecipazione e di diritti. Lotta, in poche parole, significa essere cittadino fino in fondo e non rassegnarsi alla realtà perché “è così da sempre”, ma saper riconoscere ciò che non funziona e fare di tutto, nel proprio piccolo, per poterlo migliorare.

Asia Rubbo

Fotografie di: Alessandro Cusano, Simona Di Matteo, Maria Iaquino, Stefania Pastore, Verena Salvetti, Fausto Sestini, Rodolfo Slavich.

Musiche: Veru è – Sunati sunatura eseguite e gentilmente concesse dal gruppo MondOrchestra

Un grande grazie ai soci della Cooperativa Lavoro e non solo, agli allievi del workshop, ai coordinatori e soprattutto alle ragazze e ai ragazzi del Trentino e dell’Alto Adige/Sudtirol per la loro pazienza e disponibilità.

In collaborazione con Arci nazionale, Arci del Trentino, Arci Bolzano, Arci Toscana, Cgli, Spi Cgil, Flai Cgil, Rete Studenti Medi, Unione degli Universitari, Arciragazzi Bolzano, Regione Toscana, Assessorato alle Politiche giovanili della Provincia Autonoma di Trento, Ufficio politiche giovanili della Provincia Autonoma di Bolzano.