Noi vorremmo che la nostra città Taranto sia più pulita, perché è così sporca che il cielo è pieno di fumi: infatti Dio vorrebbe aiutarci ma non può perché se si affaccia sta male anche lui.

Luam

Quando agli inizi del XX secolo il rione Tamburi incominciò a sorgere nei pressi della zona di Porta Napoli, nessuno poteva immaginare che qualche decennio più tardi questo quartiere, sorto con l’esigenza di far risiedere le famiglie dei dipendenti della ferrovia la cui stazione sorgeva nei pressi di quella zona, sarebbe diventato famoso per le vicissitudini legate al problema ambientale.

E’ luogo comune pensare che quando si parla di un quartiere si parla anche della città a cui esso appartiene nel suo insieme di agglomerato urbano e sociale.

Ma i Tamburi, così come viene chiamato in gergo, ha una peculiarità che è comune a tutto il resto della Città che la fa distinguere da tutte le altre. Taranto se si osserva nella sua composizione geografica, appare come stratificata, divisa in più parti nella struttura urbanistica.

C’è il Borgo (la Città nuova), c’è la Città Vecchia e i Tamburi appunto. Sono unite tra loro da due ponti che sembrano formare un unico cordone ombelicale. Questa Città sembra destinata a condividere il proprio destino del suo essere “doppio”. E’ la Città dei Due Mari, del nero fumo che esce notte e giorno dai camini dell’ILVA, è la Città dove le nuvole sono rosa non perché riflesse dalla luce del sole, ma perché si formano dalla polvere dei minerali ammassati a cielo aperto, dove si ha l’impressione che tutti, ma proprio tutti, lavorano all’ILVA mentre nelle altre si lavora in posti diversi.

Ma è anche la città dove il mare azzurro si fonda in un unico gioco cromatico, con il rosso mozzafiato dei tramonti che spesso ti fanno apparire i monti della Calabria più vicini, dove l’impronta della storia millenaria la respiri, ed è aria pura!, in ogni angolo. Camminando per le strade del quartiere Tamburi queste contraddizioni le percepisci costantemente perché è il terreno dell’eterno scontro tra lavoro e salute, dove la rabbia sociale cova dentro gli sguardi e i discorsi dei residenti.

La gente dei Tamburi ha voglia di parlare e il più delle volte lo fa a bassa voce, con quella dignità che contraddistingue solo coloro a cui la vita ha riservato un destino scolpito sulla pietra, indelebile ma al quale non ci si vuole rassegnare. Ed è così che si vuole continuare, nella quotidianità che si percepisce per le strade, al mercato, nei negozi, nei campetti abbandonati dove i ragazzi giocano a rincorrersi ed urlare. Un urlo che vuole essere di gioia e di speranza e non di disperazione.

Michele Abbatangelo

Avevo otto anni e stavo correndo

verso la fermata dell’autobus

per prendere il giornale a mio padre.

Mi sedevo sulle sue ginocchia

in quella vecchia Buik

e guidavo mentre attraversavamo la città,

lui mi scompigliava i capelli e mi diceva

– ragazzo, dai una bella occhiata in giro

questa è la città, è la tua città…

“My Hometown” – Bruce Springsteen

Fotografie di: Michele Abbatangelo, Anna Calabrese, Cosimo Calabrese, Rita Di Giorgio, Ciccio Lafratta, Maria Martinese, Fabio Viola.

Musica: Migala | Pietre – migala.bandcamp.com

Frasi e disegni sono tratti dal libro “Sognando nuvole bianche”, pubblicato nel 2008 dalla Regione Puglia e contenente disegni realizzati dai bambini di Taranto.

Workshop organizzato in collaborazione con IsoLab, Crest e Open Borders-Sguardi Migranti.