WORKSHOP CUBA: SCOPERTA E SCAMBIO

di Andrea Schiano Soave, volontario nell’ambito del Servizio civile nazionale all’Estero

Dopo le esperienze a Santa fe’ (maggio 2014), all’Avana e Pinar del Rio (aprile 2015) e ad Holguin e Santiago (maggio 2016), quest’anno la quarta edizione del workshop fotografico tenuto da Giulio Di Meo a Cuba, organizzata da ARCS e l’Asociacion Hermanos Saiz, ha avuto luogo tra il 13 ed il 19 Aprile nelle località di Baracoa e Santiago. La maggior parte del programma si é svolta a Baracoa e nelle comunità limitrofe, dove il 4 Ottobre scorso si e’ abbattuto l’uragano Matthew, lasciando danni ancora evidenti nel territorio.

Il gruppo era composto da 8 partecipanti italiani (6 donne e 3 uomini, di età compresa tra i 20 e i 56 anni), 5 partecipanti cubani (uomini di età compresa tra 31 e 41 anni), e 4  assistenti che hanno gestito le attività organizzative e logistiche del corso.

Il concetto del workshop era quello di ritrarre le persone nella loro quotidianità, di raccontare le loro storie (con la consapevolezza di conoscere limitatamente la cultura locale in pochi giorni), rappresentare in modo personale  una realtà non solo peculiare e diversa da quella di chi scatta le fotografie, ma considerata dagli stessi cubani una dimensione differente. Baracoa è infatti la località più orientale di Cuba, e anche a causa della sua conformazione geografica non è facilmente raggiungibile, perciò rimane ‘isolata’ dal resto del paese. Inoltre la catastrofe naturale, che ha colpito la zona pochi mesi fa, ha lasciato evidenti conseguenze materiali e psicologiche. A maggior ragione se si pensa che l’uragano ha danneggiato gravemente, oltre alle abitazioni, anche la vegetazione, amputata e resa priva di gran parte delle piantagioni di cacao e caffè, prodotti tipici di questa regione e fonti principali, oltre al turismo, delle maggiori entrate economiche.

Ha toccato la sensibilità di tutto il gruppo incontrare queste persone visibilmente sconsolate, comunque non frustrate ma con voglia di andare avanti, consapevoli che non si può modificare la natura ma solo imparare a convivere in armonia con lei, sia nel senso di averne rispetto e proteggerla, che di non sottovalutare la sua forza.

La gente ci ha accolto con allegria, curiosità e ospitalità, cosa che ha affascinato molti del gruppo che venivano a Cuba per la prima volta. Ci invitavano a bere caffè in casa per ripararci dalla pioggia o semplicemente abbiamo intrapreso con loro conversazioni prima di scattare le fotografie, fattore che ha contribuito a rendere più sincere le immagini immortalate.

Foto di Peter Zullo

Le persone che abbiamo incontrato, comprensibilmente incuriosite dal fatto di veder scendere da un furgoncino tanti stranieri con macchine fotografiche, disperdersi per le loro comunità e infilarsi nelle loro case, hanno apprezzato che fossimo lì non solo per turismo o per piacere ma per conoscere e cercare di descrivere la cultura della loro terra, con l’interesse di scoprire il lato meno superficiale e più essenziale del popolo cubano.

Fotografare qualcuno nel suo contesto, captare un momento della sua giornata e della sua intimità, non è facile perché può risultare invadente. Si rischia di cadere nella banalità di voler riprendere uno stereotipo.  Ci sono troppi turisti (e anche alcuni fotografi) che viaggiano in certi posti per ritrarre bambini scalzi, case scolorite, lo scorcio più decadente e l’espressione più triste, con lo scopo di impressionare senza raccontare nulla della realtà che sta dietro. E’ necessario invece contestualizzare, e quindi conoscere, mescolarsi tra la gente e affascinarsi per ritrarre e trasmettere in modo originale questi processi sociali.

Essere fotografo al giorno d’oggi è probabilmente più complicato rispetto a qualche decennio fa. I mezzi di informazione e comunicazione mettono a disposizione una quantità di fotografie che non è mai stata tanto numerosa, e queste spesso non ci informano veramente circa la realtà che ritraggono, ma servono per chiamare la nostra attenzione perché sono finalizzate a vendere anziché a comunicare. C’è il rischio quindi di desensibilizzare la gente riguardo alle tematiche serie. Quindi, vedere in un giornale la foto di un bambino siriano morto e nella pagina successiva una pubblicità di scarpe ci sembra normale.

I mezzi di diffusione di massa presentano ormai una quantità numerosissima di materiali e fonti, ed è più che mai importante saperle selezionare e legittimare. E’ necessario avere un proprio metro di giudizio ed un senso critico per ragionare con la nostra testa anziché assorbire passivamente quello che arriva da fuori.

Foto di Elisa Mapelli

In questo senso il workshop si è rivelato un’esperienza utile anche dal punto di vista umano. Lo dimostra il fatto che tutti i partecipanti hanno ammesso di sentirsi cresciuti sia personalmente che come fotografi. Mettere insieme persone di diversa età, diverse ambizioni e diverso carattere, dare loro l’opportunità di condividere una settimana conoscendosi e misurandosi all’interno di un contesto nuovo e stimolante, è interessante socialmente per le sinergie e le dinamiche che si creano all’interno del gruppo. Gli allievi hanno l’opportunità di fare qualcosa che amano (cioè fotografare), in luoghi diversi e suggestivi, fermandosi in ciascuna comunità qualche ora in modo da gestire al meglio il tempo a disposizione. A fine giornata venivano selezionate le dieci foto più significative scattate durante il giorno, che poi venivano sottomesse ad una revisione più rigida con l’assistenza di Giulio, con lo scopo di mantenere soltanto le fotografie più affini al concetto del workshop e che meglio valorizzano la tecnica personale del singolo fotografo.

La dinamica delle lezioni (divise tra pratiche e teoriche) è stata partecipativa ed inclusiva. Gli orari erano fissati in modo tale da sfruttare la luce migliore, perciò si cominciava la mattina presto e si terminava la sera tardi per dare tempo a ciascuno di selezionare le fotografie; nonostante ciò il corso non è risultato pesante. L’attività giornaliera di selezione, fino ad arrivare a fine corso con un portfolio di fotografie, aiuta a sviluppare un migliore filtro per scegliere le immagini e la loro composizione, in modo tale, peraltro, da fornire maggior consapevolezza delle capacità e tecniche personali, fino ad ottenere a fine corso un prodotto essenziale ed esplicativo.

Si parla già del prossimo workshop e della sua possibile locazione. Alcuni allievi avevano già partecipato alle passate edizioni, altri forse saranno presenti di nuovo l’anno prossimo. Alcuni avevano già partecipato e sono venuti come assistenti, altri sono venuti come assistenti e forse si presenteranno come allievi, per scoprire un nuovo lato di Cuba e della sua gente e per continuare a credere nella fotografia come mezzo per comunicare emozioni e raccontare storie. Come dice Giulio Di Meo “L’importante non é avere un buon obiettivo, ma un buon occhio”.

Oriente cubano: la gallery con le foto dei partecipanti